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ANGKOR, part 2:
TEMPLES

Dicono che la cultura Khmer fosse grandiosa.

Dicono che mentre in Europa le città avevano solo qualche migliaia di abitanti, nei primi secoli del vecchio millennio Angkor Thom ne contasse un milione.

Dicono che quei templi fossero dimora delle divinità indù prima di diventare buddisti e che fossero stati costruiti in pietra per restare, mentre il resto era legno e bambù e paglia, andato perso insieme alla prosperità del popolo cambogiano. 

Di qualunque Dio fossero stati la casa, i templi di Angkor per lungo tempo sono tornati alla natura, nascosti da quegli alberi che li hanno protetti, soffocati e dilaniati da quelle radici che li hanno resi affascinanti e famosi.

Camminando lungo le strade ormai tracciate nella giungla, ci si può ancora stupire al giungere della porta ovest, si può sentire lo sguardo vuoto di Jayavarman VII varcando il Bayon.

Ci si può perdere tra le rovine del Beng Mealea, circondati dagli occhi curiosi dei bambini che lo abitano, nascosti nell’ombra.

Ogni pietra racconta una storia, ogni radice riconduce a un inizio, bassorilievi e statue descrivono un mito.

E mentre si sale una di quelle gradinate, si è accompagnati dal rumore incessante della natura e ci si inchina, senza volerlo, alla grandiosità di quello che era, solo per riprendere fiato.

[words by Federica Adamoli]

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